CONOSCERE MEGLIO LA DISCALCULIA-DISORTOGRAFIA-DISGRAFIA

 Ma la dislessia è "parente" della discalculia? I bambini che
soffrono della prima soffriranno obbligatoriamente anche della seconda? «La risposta è insieme sì e no — spiega Daniela Lucangeli, prorettore e professore ordinario di Psicologia dello sviluppo all'Università di Padova —. L’apprendimento del calcolo include, infatti, anche competenze di natura verbale, per esempio il lessico numerico (leggere e scrivere i numeri), il recupero di fatti numerici dalla memoria verbale, le procedure verbali di esecuzione. In questo senso il bambino con dislessia può avere difficoltà anche con i numeri».

STRATEGIE 
- «Chiarisco: la dislessia è spesso correlata a deficit di memoria fonologica, quel tipo di memoria che ci consente di ricordare i suoni mentre si legge — prosegue l’esperta —. Un esempio, se leggo: ca-gno-li-no, per capire il significato della parola debbo tenerne a mente tutti "pezzi". Se sto imparando le tabelline: 3x1=3, 3x2= 6, 3x3= 9, per ricordarle a memoria uso la componente fonologica. È quindi evidente che il dislessico, con difficoltà in questa competenza, imparerà a fatica le tabelline. Ma il calcolo in sé è un’operazione strategica non automatizzabile – al contrario delle tabelline – e se si insegna il calcolo attraverso strategie pertinenti, piuttosto che attraverso procedure meccaniche (ad esempio, composizione e scomposizione in fattori, arrotondamenti alla decina), le difficoltà del dislessico nel calcolo saranno senza dubbio minori».

APPROCCIO 
- Questo cambiamento che cosa comporterebbe? «Può essere utile un altro esempio pratico per spiegarlo. Per sommare 44 a 177, posso metterli in colonna usando una strategia procedurale per "processare" i numeri come se fossero indipendenti dalla quantità che indicano; oppure posso sommarli a mente tramite un’operazione "strategica composizionale". Posso fare: 177+40+4, oppure 170+44+7. Per riuscire a fare questo secondo tipo di calcolo (e questo vale assolutamente per tutti i bambini) debbo però aver costituito le basi dell’intelligenza "di quantità" (quella che permette di scomporre, 177 in 170 + 7, facilitando il calcolo a mente) fin da piccolo. Da qui lì importanza di come avviene già all’asilo l’approccio alla cognizione numerica. Se si agisce in questo modo, il dislessico non finirà per avere problemi anche con l’aritmetica e tutti gli allievi saranno più abili con i numeri».

MATEMATICA 
- Insomma, i metodi che si usano prevalentemente per insegnare la matematica sono sbagliati? «No, dico solo che non si deve scambiare l’insegnamento con l’apprendimento — risponde Lucangeli —. Si possono adottare metodi epistemologicamente adeguati, ma deboli nel garantire i processi di apprendimento. Alle prove Invalsi quasi il 40 per cento di ragazzi sembra avere problemi di discalculia. Ovviamente questo non è possibile. Si tratta evidentemente di cambiare metodi di insegnamento. Per tutti gli allievi».

DISCALCULIA VERA 
- «Esiste però — aggiunge la specialista — anche una discalculia "vera", del tutto indipendente dalla dislessia. Si può definire "cecità del numero": è un deficit che si manifesta nel riconoscimento e nella comparazione di quantità semplici, nella difficoltà a distinguere maggiore da minore, perfino a capire se 3 è maggiore o minore di 5. È una carenza di intelligenza numerica. Nella discalculia pura si ha un cattivo funzionamento in aree cerebrali completamente diverse da quelle implicate nella dislessia. Fortunatamente la percentuale di bambini che ricevono una diagnosi di questo tipo è dello 0,2% circa» dice la specialista. E per loro non c’è niente da fare? «Tutti i disturbi di apprendimento possono migliorare. Certo molto dipende dall’intensità dalla loro intensità e dall’età in cui vengono individuato, nonché dalla "plasticità" cerebrale, incrementabile anche con la didattica oltre che con la riabilitazione funzionale. Per quanto riguarda i bambini con profilo di difficoltà e/o disturbo specifico del calcolo, la raccomandazione, condivisa da tutti i ricercatori e i clinici, è quella di individuare il tipo di intervento a partire dagli errori specifici, privilegiando così un lavoro personalizzato, mirato a potenziare le reali difficoltà del soggetto. Per questa ragione, tempistiche e strumenti da impiegare vengono stabiliti sulla base del profilo del singolo bambino, profilo emerso da un procedimento diagnostico accurato».

DISORTOGRAFIA 
- La disortografia che cosa è esattamente? «Soffrire di disortografia significa commettere un numero di errori ortografici superiore alla media, si tratta di un problema facilmente legato alla dislessia — spiega l’esperta —. Il disortografico, insomma, confonde fonemi simili, ad esempio f e v; t e d. Confonde anche grafemi simili: ad esempio, b e p. E tralascia alcune parti della parola, ad esempio la doppia consonante (palla-pala), la vocale intermedia (fuoco-foco), la consonante intermedia (cartolina-catolina). O ancora, opera delle inversioni e scrive: sefamoro anziché semaforo. Poiché, la disortografia, nella maggioranza dei profili, è legata principalmente ad aspetti fonologici, l’intervento dovrà potenziare quest’ambito».

DISGRAFIA 
- E la disgrafia, come si caratterizza? «Riguarda — chiarisce Lucangeli — le componenti "prassiche" e cioè il controllo della motricità fine; in altre parole è un disordine delle componenti periferiche, esecutivo-motorie, che prescinde dalle variabili linguistiche come il lessico o l'ortografia. Si traduce in una scrittura disordinata, di difficile comprensione. È più probabile trovare un disturbo di tipo disgrafico associato ad un disturbo di tipo visuo-spaziale o della motricità fine, che non alla dislessia. Per questo disturbo, nella letteratura nazionale sono presenti diversi programmi di intervento».

DIAGNOSI CORRETTE 
- «In tutti i casi, comunque — aggiunge l’esperta —, la cosa importante è che ogni intervento sia costruito ad hoc per ogni singolo bambino. Infatti, non tutti i bambini con disturbo dell’apprendimento sono uguali: all’interno di ogni disturbo si possono identificare diversi sotto-profili sui quali si deve operare in maniera specifica. Solo in questo modo si possono ottenere dei miglioramenti». Ma si riescono a fare diagnosi che distinguano bene tutte queste forme di “dis”, senza fare di ogni erba un fascio? «Certo che si possono fare diagnosi corrette — risponde Lucangeli —: non basta però vedere che c’è un errore di calcolo, o di lettura: bisogna capire anche a quale tipologia appartiene. E questo è il solo modo per aiutare davvero tutti i diversi ragazzi "dis"».

Centro Psicologico Accreditato DSA Amamente Milano 

Fonte : Daniela Natali
http://www.corriere.it/salute/neuroscienze/12_settembre_24/discalculia-matematica-numeri_6fe9112c-03eb-11e2-a116-9748af084362.shtml